2 Corinzi 5 – Ambasciatori per Cristo
A. Il destino del cristiano.
1. (1) La nostra esistenza nel mondo a venire.
Sappiamo infatti che se questa tenda, che è la nostra abitazione terrena, viene disfatta, noi abbiamo da parte di Dio un edificio, un’abitazione non fatta da mano d’uomo eterna nei cieli.
a. Sappiamo infatti: Paolo ha appena messo a confronto la nostra leggera afflizione con uno smisurato, eccellente peso eterno di gloria, e le cose che si vedono e sono temporanee con quelle che non si vedono e sono eterne (2 Corinzi 4:17-18). Paolo ora illustrerà il contrasto che c’è fra ciò che è terreno e ciò che è eterno.
i. Nel suo discorso, Paolo ha una franchezza tale da poter dire: “Sappiamo”. I cristiani possono sapere come sarà il mondo dopo questo, perché sanno cosa dice la Parola eterna di Dio.
ii. “Non si tratta solo di pensare o di sperare; questo è l’apice della fede, il trionfo della fiducia; questo è, come lo chiama Latimer, il dolce del banchetto della buona coscienza. Ci sono altre pietanze prelibate a questo convito, ma è questo ciò che rende un banchetto tale.” (Trapp)
b. Questa tenda, che è la nostra abitazione terrena: Paolo vede i nostri corpi come delle tende: strutture temporanee che sono solo una parte dell’intero essere. Se la tenda viene disfatta, abbiamo ancora una speranza eterna: abbiamo da parte di Dio un edificio, un’abitazione non fatta da mano d’uomo eterna nei cieli.
i. Disfatta è la stessa parola utilizzata per “smantellare una tenda”. Un giorno, Dio “smantellerà la tenda” e ognuno di noi riceverà un nuovo edificio da parte di Dio, un luogo dove vivere per tutta l’eternità.
ii. “Molte persone sono molto spaventate dal futuro, eppure ecco che Paolo vede la cosa peggiore che gli possa capitare con tale compiacimento da paragonarla a niente di peggio che all’abbattimento della tenda in cui intendeva risiedere per una breve stagione.” (Spurgeon)
iii. Ciò significa che il nostro essere va al di là del nostro corpo e spiega anche perché Paolo fosse in grado di considerare tutto il dolore e lo sconforto nel suo corpo una leggera afflizione di fronte al peso eterno di gloria. È un errore dire: “Io non sono il mio corpo”. In verità, il mio corpo è ciò che sono, o meglio, è solo una parte di ciò che sono. Io sono molto di più di questo corpo.
c. Un’abitazione non fatta da mano d’uomo eterna nei cieli: I nostri corpi futuri non sono fatti da mano d’uomo. Dio li crea in maniera specifica per essere adatti al contesto eterno e celeste; sono eterni nei cieli.
i. Gesù disse: “Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, ve lo avrei detto; io vado a prepararvi un posto” (Giovanni 14:2). Nel greco, “dimore” indica, per l’appunto, un “luogo di dimora” o un “luogo dove risiedere”. Altre traduzioni usano, invece, il termine mansioni (vedi Martini). In effetti, alla luce della natura di Dio, mansioni (ville, palazzi), è un termine che si addice di più al contesto. L’edificio che abbiamo da parte di Dio, un’abitazione non fatta da mano d’uomo eterna nei cieli, sarà un luogo glorioso in cui abitare, un palazzo per tutta l’eternità. Dopo tutto, Gesù sta preparando questo posto sin da quando è asceso al cielo.
ii. La salvezza non è solo per l’anima o lo spirito, ma anche per il corpo. La risurrezione è il modo in cui Dio lo salva. Abbiamo un nuovo corpo glorioso che ci aspetta. “I giusti sono messi nelle loro tombe tutti stanchi e sfiniti, ma non è così che risorgeranno. Giungono alla tomba con la fronte aggrottata, la guancia scavata, la pelle rugosa; si sveglieranno in bellezza e gloria.” (Spurgeon)
2. (2-4) Il nostro anelito verso il corpo celeste.
Poiché in questa tenda noi gemiamo, desiderando di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Noi infatti che siamo in questa tenda gemiamo, essendo aggravati, e perciò non desideriamo già di essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita.
a. Poiché in questa tenda noi gemiamo: I cristiani, dunque, gemono perché vedono sia le limitazioni di questo corpo che la superiorità del corpo a venire. Gemiamo, desiderando di ricevere i nostri nuovi corpi.
i. Molti di noi non stanno desiderando il cielo come dovrebbero. Forse perché siamo troppo a nostro agio sulla terra? Non che dovremmo ricercare l’afflizione, ma non dovremmo nemmeno dedicare le nostre vite all’inseguimento dell’agiatezza. Non c’è nulla di sbagliato nel desiderare ardentemente il cielo; è giusto poter essere d’accordo con Paolo e dire: “Noi gemiamo”.
b. Desiderando di essere rivestiti… vestiti e non nudi: Paolo sta semplicemente dicendo che, nell’eternità, saremo vestiti e non nudi; non saremo spiriti senza corpo.
i. I filosofi greci credevano che uno spirito incorporeo fosse il livello più elevato di esistenza. Consideravano il corpo una prigione per l’anima e non vedevano alcun beneficio nel risorgere in un altro corpo.
ii. Per Dio, il corpo in sé non è negativo. Il problema non è nel corpo, ma in questi corpi, decaduti e corrotti dal peccato in cui viviamo. Diventando un uomo, Gesù ha dichiarato che il corpo è sostanzialmente buono. Se ci fosse stato qualcosa di intrinsecamente malvagio nel corpo, Gesù non avrebbe mai potuto aggiungere l’umanità alla Sua divinità.
c. Non desideriamo già di essere spogliati ma rivestiti: Come cristiani, non abbiamo alcun interesse a diventare “puro spirito” e fuggire dal corpo. Piuttosto, desideriamo di avere un corpo perfetto, risorto.
i. Non sappiamo molto riguardo allo stato dei nostri corpi risorti. “Se dopo questo desideri sapere di più su questa dimora, non posso darti altro se non il consiglio che John Bunyan diede in una situazione simile. Qualcuno fece una domanda all’onesto John, a cui non sapeva rispondere, dato che Parola di Dio non dice nulla al riguardo; per questo, l’onesto John incoraggiò il suo amico a vivere una vita santa e ad andare in cielo, in modo da scoprirlo di persona.” (Spurgeon)
d. Affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita: I nostri nuovi corpi non saranno soggetti alla morte (mortale). Invece, come Paolo scrive in 1 Corinzi 15:54, La morte è stata inghiottita nella vittoria. Quando riceviamo i nostri corpi eterni, la vita trionfa completamente sulla morte. Se un topo viene assorbito da un serpente, vuol dire che il topo è stato completamente sopraffatto; non esiste più. Così anche la morte sarà assorbita dalla vita.
e. Ma rivestiti: Nel Medioevo, alcuni cristiani, pur non essendo mai stati monaci, venivano sepolti con l’abito da monaco, sperando di essere ricevuti positivamente nel giorno del giudizio. Gesù ci offre delle vesti migliori.
3. (5-8) La nostra fiducia.
Or colui che ci ha formati proprio per questo è Dio, il quale ci ha anche dato la caparra dello Spirito. Noi dunque abbiamo sempre fiducia e sappiamo che mentre dimoriamo nel corpo, siamo lontani dal Signore. Camminiamo infatti per fede, e non per visione. Ma siamo fiduciosi e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore.
a. Or colui che ci ha formati: Dio, proprio in questo istante, ci sta preparando per il nostro destino eterno. Paolo collega i concetti della nostra leggera afflizione e del peso eterno di gloria (2 Corinzi 5:17-18). La nostra leggera afflizione è (in parte) il modo attraverso cui Dio ci ha formati.
i. Un uomo nel mezzo di molte prove dolorose fece una passeggiata nel suo quartiere e vide una squadra di costruttori al lavoro su una grande chiesa. Si fermò a guardare un artigiano della pietra che lavorava a lungo su un mattone, ma non riusciva a vedere dove il mattone sarebbe stato inserito, perché la chiesa sembrava finita. Osservò l’uomo lavorare sul mattone con attenzione e metodo, plasmandolo lentamente in un modello preciso. Alla fine, chiese: “Perché stai spendendo così tanto tempo a scheggiare e modellare quel mattone?”. L’artigiano indicò la cima del campanile quasi completato e rispose: “Lo sto modellando qui sotto, in modo che si adatti a quello che c’è lassù”. L’uomo nel mezzo delle prove capì immediatamente che quello era il messaggio di Dio per lui: Dio lo stava formando quaggiù affinché fosse adatto al cielo”.
b. Il quale ci ha anche dato la caparra dello Spirito: Quando le prove sulla terra sono difficili, non sempre è facile trovare conforto nel nostro destino celeste. Dio lo sapeva, per questo ci ha dato la caparra dello Spirito. Egli conferma la promessa del cielo depositando ora una caparra, lo Spirito Santo.
i. In greco antico, caparra traduce arrhabon, termine che descriveva un pegno o un pagamento parziale in attesa del saldo, ma che dava a colui che riceveva la caparra un diritto legale sui beni in questione. Nella lingua greca moderna, arrhabona significa “anello di fidanzamento”.
ii. Molti cristiani sperimentano in questo momento una grande benedizione da parte dello Spirito Santo. Quando consideriamo quanto sia gloriosa la caparra, pensiamo a quanto sarà grande l’intero dono.
iii. “Quindi lo Spirito Santo è una parte del cielo stesso. L’opera dello Spirito Santo nell’anima è il germoglio del cielo. La grazia non ci verrà tolta quando entreremo nella gloria, ma si svilupperà, diventando gloria. La grazia non sarà ritirata come se avesse raggiunto il suo scopo, ma maturerà e si trasformerà in gloria.” (Spurgeon)
c. Noi, dunque, abbiamo sempre fiducia: La presenza dello Spirito Santo nella vita di Paolo gli infondeva fiducia. Gli assicurava che Dio era all’opera in lui e che avrebbe continuato la Sua opera. Se non puoi dire lo stesso, ovvero che hai sempre fiducia, allora chiedi a Dio una nuova effusione dello Spirito Santo nella tua vita.
i. Possiamo avere sempre fiducia, anche nei momenti difficili, se ci atteniamo a Colossesi 3:2: Abbiate in mente le cose di lassù, non quelle che sono sulla terra. “Qual è dunque il modo di mantenere la pace quando ci sono cambiamenti nell’anima, quando a volte ci sentiamo portati in cielo e subito dopo siamo buttati giù? L’unico modo è quello di non essere mai eccessivamente euforici per la prosperità esteriore o interiore, e di non essere mai eccessivamente depressi per le avversità o per i dubbi e le paure, perché avete imparato a non vivere né sulle cose esteriori né su quelle interiori, ma sulle cose di lassù, che sono il vero cibo per uno spirito nato di nuovo.” (Spurgeon)
d. Mentre dimoriamo nel corpo, siamo lontani dal Signore. Camminiamo infatti per fede, e non per visione: Al momento, la presenza di Dio è una questione di fede. Mentre dimoriamo nel corpo, in un certo senso, siamo lontani dal Signore, almeno per quanto riguarda la Sua presenza immediata e gloriosa. Dunque, per ora, dobbiamo camminare per fede, e non per visione.
i. Camminare per fede e non per visione è uno dei grandi, e difficili, principi della vita cristiana. Deve essere sorprendente per gli angeli vedere che viviamo, serviamo e che siamo disposti a morire per un Dio che non abbiamo mai visto. Eppure, Lo amiamo e viviamo per Lui, per fede e non per visione.
ii. Camminare per fede significa far sì che la fede sia parte integrante della nostra vita quotidiana. Camminare non ha nulla di speciale in sé; è uno degli aspetti più banali della vita. Tuttavia, Dio vuole che camminiamo per fede. “L’uomo che dice sempre: ‘Posso predicare un sermone per fede’ non ha ancora compreso il vero spirito del cristianesimo. Certo, ma puoi creare un soprabito per fede? ‘Posso distribuire volantini e fare visita al vicinato per fede’. Puoi preparare la cena per fede? Quello che voglio dire è: puoi fare le faccende di casa e svolgere i doveri quotidiani che ti spettano nello spirito della fede?”. (Spurgeon)
iii. Verrà il giorno in cui non saremo più lontani dal Signore, come inteso qui da Paolo. In quel giorno, non dovremo più camminare per fede, ma vedremo per visione la gloria e la presenza di Dio.
e. Ma siamo fiduciosi e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore: Proprio perché Paolo è fiducioso (in parte a motivo della caparra dello Spirito Santo) riguardo al suo destino eterno, non ha paura del mondo a venire. Infatti, per lui sarebbe molto più caro di partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore.
i. Questo testo risponde a una delle domande che molti si pongono: cosa succede ai credenti quando muoiono? I cristiani lasceranno questi corpi, risorgeranno in nuovi corpi e saranno con il Signore. In parole semplici, partire dal corpo significa abitare con il Signore.
ii. Vivremo in cielo per un tempo, in uno stato intermedio senza corpo mentre aspettiamo la resurrezione? Alcuni pensano di sì, basandosi su alcuni passi come Apocalisse 6:9-11 e 1 Tessalonicesi 4:16. Usando però il termine “nudi” nel versetto 4, Paolo non sembra considerare desiderabile un tale stato incorporeo. Lo stato più desiderabile sembra quello di essere “rivestiti” con un corpo di resurrezione, come nel versetto 2. O i morti attuali in Cristo sono con il Signore in un corpo spirituale, in attesa del loro corpo risorto, o, a motivo della natura dell’eternità senza tempo, hanno già ricevuto i loro nuovi corpi, perché vivono nell’eternità “presente”.
iii. Il fatto che partire dal corpo significhi abitare con il Signore conferma che due false dottrine sono, appunto, false. Smentisce la falsa dottrina del “sonno dell’anima”, che afferma che i credenti defunti “dormono” fino alla resurrezione, e la falsa dottrina del “purgatorio”, che dice che i credenti defunti devono essere “purificati” mediante le loro stesse sofferenze prima di poter apparire alla presenza di Dio.
iv. “Non si aspettava di essere arrostito vivo per i successivi mille anni e poi di balzare dal purgatorio al paradiso; ma si aspettava di andare, non appena la sua casa terrena si fosse dissolta, nella sua casa eterna nei cieli. Non pensava nemmeno di dover giacere in uno stato di incoscienza fino alla risurrezione.” (Spurgeon)
f. Abitare con il Signore: Questo è il vero significato del cielo, per questo bramiamo di abitare con il Signore. Il cielo ci è prezioso per molte ragioni. Vogliamo riunirci ai nostri cari che sono venuti a mancare prima di noi e di cui sentiamo grandemente la mancanza. Vogliamo essere con i grandi uomini e le grandi donne di Dio che ci hanno preceduti nei secoli passati. Vogliamo camminare per le strade d’oro, ammirare le porte perlate e vedere gli angeli attorno al trono che adorano Dio giorno e notte. Tuttavia, nessuna di queste cose, per quanto preziose, fanno del cielo, il “cielo”. Ciò che rende il cielo davvero speciale è la presenza di Dio senza restrizioni o ostacoli. Il cielo sarebbe come l’inferno se non potessimo abitare con il Signore.
4. (9-10) Lo scopo della nostra vita alla luce del nostro destino eterno.
Perciò ci studiamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che partiamo da esso. Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte nel corpo in base a ciò che ha fatto, sia in bene che in male.
a. Perciò ci studiamo di essergli graditi: Poiché quello che facciamo in questo momento ha conseguenze eterne, il nostro obbiettivo deve essere sempre quello di compiacere Dio.
i. “Dovete fare rapporto al quartier generale. Non importa ciò che gli altri pensano di voi. Il vostro compito è quello di compiacere Cristo, e meno vi preoccupate di piacere agli uomini, più riuscirete nell’intento.” (Maclaren)
b. Sia che abitiamo nel corpo, sia che partiamo da esso: Al momento non possiamo fare nulla per essere graditi a Dio partendo da questi corpi e abitando con il Signore. Però, possiamo essergli graditi abitando in questi corpi e rimanendo per ora lontani dalla Sua immediata presenza.
i. Dobbiamo considerare che, per quanto ne sappiamo, alcune opportunità di piacere a Dio le avremo solo mentre abitiamo in questo corpo. Quando arriveremo in cielo, non ci sarà più bisogno di fede, di perseveranza nelle prove, di coraggio e di franchezza nel parlare di Gesù agli altri. Ora, mentre abitiamo in questi corpi, è la nostra unica opportunità in tutta l’eternità di piacere a Dio in queste aree.
c. Noi tutti, infatti, dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo: Quando da questi corpi passeremo alla vita futura, ognuno di noi dovrà dare conto di ciò che ha fatto, sia in bene che in male.
i. Non è un riferimento al giudizio di fronte al Gran Trono Bianco (Apocalisse 20:11-15), ma a quel giudizio riservato alle opere dei credenti (cose fatte nel corpo in base a ciò che ha fatto, sia in bene che in male).
ii. La parola tribunale nel greco del Nuovo Testamento traduce bema, che significa letteralmente “gradino”, indicando una piattaforma o una seduta rialzata. Era qui che il magistrato romano si sedeva in funzione di giudice. Il bema era “oggetto di rispetto e terrore per tutte le genti.” (Hodge)
d. Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo: Che cosa verrà giudicato al tribunale di Cristo? Prima di tutto, verrà giudicato ciò che abbiamo fatto (le cose fatte); poi, le motivazioni dietro alle nostre azioni (in base a ciò che ha fatto, sia in bene che in male).
i. Dobbiamo vivere con la consapevolezza che ciò che abbiamo fatto verrà giudicato. È possibile essere salvati, pur avendo sprecato la propria vita, e ciò verrà giudicato davanti al tribunale di Cristo. Questo dovrebbe fungere da incoraggiamento nel nostro servizio al Signore; dovrebbe ricordarci del principio di Ebrei 6:10: Dio infatti non è ingiusto da dimenticare l’opera vostra e la fatica d’amore che avete mostrato per il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi. Paolo sa che vale la pena affrontare i problemi di questa vita perché sarà ricompensato al tribunale di Cristo.
ii. Dobbiamo vivere con la consapevolezza che anche le nostre motivazioni verranno giudicate (1 Corinzi 13:1-3 condivide lo stesso pensiero). Si può fare la cosa giusta con un atteggiamento sbagliato. Si possono fare le cose giuste ma con un cuore sbagliato. Spesso Dio si servirà comunque di quella persona e porterà persino una grande benedizione attraverso di essa. Tuttavia, alla fine, è come se non avessero fatto nulla per il Signore, perché le loro motivazioni per il servizio non hanno retto al tribunale di Cristo.
iii. Paolo presenta essenzialmente la stessa idea in 1 Corinzi 3:12-15, dove parla di una valutazione futura dell’opera di ciascuno davanti al Signore. In quel passo, egli chiarisce che ciò che facciamo e il motivo per cui lo facciamo saranno messi alla prova dal fuoco, e il fuoco purificatore di Dio brucerà tutto ciò che non proviene da Lui. Non saremo puniti per ciò che non avremo fatto rettamente davanti al Signore; quelle cose saranno semplicemente bruciate e sarà come se non le avessimo mai fatte. Saremo semplicemente ricompensati per ciò che rimarrà. Purtroppo, alcuni arriveranno in cielo pensando di aver fatto grandi cose per Dio e scopriranno al tribunale di Cristo che in realtà non hanno fatto nulla.
iv. “Comparire davanti al tribunale di Cristo è il privilegio dei cristiani. Riguarda la valutazione delle opere e, indirettamente, del carattere, non la determinazione del destino; riguarda la ricompensa, non la posizione.” (Harris)
5. (11) Il nostro messaggio alla luce del nostro destino eterno.
Conoscendo dunque il timore del Signore, persuadiamo gli uomini, e siamo conosciuti da Dio; or io spero di essere conosciuto anche dalle vostre coscienze.
a. Conoscendo dunque il timore del Signore: Che cosa conosciamo dello spavento del Signore (Diodati)? Sappiamo che senza Gesù siamo bersagli meritevoli dello spavento del Signore. Sappiamo anche che in Gesù siamo stati liberati dallo spavento del Signore.
b. Persuadiamo gli uomini: Conoscendo la condizione degli uomini con Gesù e senza Gesù, persuadiamo gli uomini di venire a Gesù e conoscere cosa vuol dire essere liberati dallo spavento del Signore.
i. Il messaggio non è: “Attenti allo spavento del Signore,” sebbene sia un messaggio che ha una sua collocazione. Il messaggio non è: “Se non persuado gli uomini, mi troverò ad affrontare lo spavento del Signore; è meglio darsi da fare!”. Piuttosto, il messaggio è: “Sono stato liberato dallo spavento del Signore e puoi esserlo anche tu. Vieni a Gesù!”. In verità, lo spavento del Signore è stato riversato su Gesù, in modo che non fosse diretto a coloro che confidano nella Sua persona e nella Sua opera per loro.
ii. Persuadiamo gli uomini: Questo dovrebbe essere l’atteggiamento di chiunque presenta il vangelo, che sia dal pulpito o meno. L’intento è persuadere gli uomini, non semplicemente lanciare delle idee senza curarsi della risposta delle persone. Dovremmo essere come Paolo, il quale desiderava ardentemente che uomini e donne venissero a Gesù. Nei nostri cuori e con le nostre parole dev’esserci l’intenzione di persuadere gli uomini.
c. Siamo conosciuti da Dio; or io spero di essere conosciuto anche dalle vostre coscienze: Paolo si dava tanto da fare per persuadere gli uomini, ma sapeva di non dover persuadere Dio. Anzi, sapeva di essere conosciuto da Dio. Inoltre, avrebbe voluto non trovarsi costretto a persuadere i Corinzi; sperava che il suo messaggio e il suo ministero fossero conosciuti dalle loro coscienze.
i. Paolo guardava al bisogno di persuadere il mondo riguardo alla persona e all’opera di Gesù e riguardo alla sua stessa integrità in qualità di messaggero della buona novella. Sebbene sapesse di non aver bisogno di persuadere Dio, era infastidito dalla necessità di dover persuadere i cristiani di Corinto.
B. Paolo difende e descrive il suo ministero.
1. (12) Perché mai Paolo dovrebbe difendere il suo ministero?
Perché non ci raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi diamo l’opportunità di essere orgogliosi di noi, affinché possiate rispondere a coloro che si gloriano nell’apparenza e non nel cuore.
a. Non ci raccomandiamo di nuovo a voi: Paolo si stava vantando? Stava forse cercando di glorificare sé stesso davanti ai Corinzi? Assolutamente no. Paolo si gloriava delle sue debolezze, delle prove, delle battaglie, ma non per farne un vanto davanti ai cristiani di Corinto.
b. Ma vi diamo l’opportunità di essere orgogliosi di noi: Piuttosto, condividendo le sue debolezze, le prove e i problemi, Paolo voleva dare ai cristiani di Corinto l’opportunità di essere orgogliosi di lui.
i. C’è dell’ironia nelle parole di Paolo. I Corinzi non erano interessati a gloriarsi di lui o a vedere il buono nelle sue prove. Credevano che le prove sminuissero Paolo come apostolo e uomo di Dio, piuttosto che affermarlo come tale. Paolo lo sapeva bene, ma era comunque felice di dare loro l’opportunità di essere orgogliosi di lui.
c. Affinché possiate rispondere a coloro che si gloriano nell’apparenza e non nel cuore: Uno dei problemi dei Corinzi è che avevano un debole per coloro che si gloriano nell’apparenza e non nel cuore. Disprezzavano Paolo perché il suo gloriarsi non era nell’apparenza ma solo nel cuore. Egli, dicendo ai Corinzi come Dio aveva operato attraverso le sue difficoltà e avversità, diede loro qualcosa con cui rispondere a chi la pensava in quel modo.
i. In che cosa ti glori? Sei tra coloro che si gloriano nell’apparenza e non nel cuore? Ricorda ciò che il Signore disse a Samuele: Non badare al suo aspetto né all’altezza della sua statura, poiché io l’ho rifiutato, perché l’Eterno non vede come vede l’uomo; l’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore (1 Samuele 16:7). Siamo così facilmente influenzati dall’immagine di una persona che spesso non vediamo o non ci curiamo della sostanza. Non è che l’apparenza sia del tutto priva di importanza, ma rispetto al cuore lo è quasi.
2. (13-15) Paolo non è pazzo; piuttosto, è motivato dall’amore di Dio che ha ricevuto.
Infatti se siamo fuori di senno, lo siamo per Dio, e se siamo di buon senno, lo siamo per voi. Poiché l’amore di Cristo ci costringe, essendo giunti alla conclusione che, se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti; e che egli è morto per tutti, affinché quelli che vivono, non vivano più d’ora in avanti per sé stessi, ma per colui che è morto ed è risuscitato per loro.
a. Se siamo fuori di senno: Essere “fuori di senno” descrive un comportamento folle e irrazionale. I Corinzi probabilmente credevano che Paolo fosse pazzo, perché sembrava essere soddisfatto di una vita di dolore, prove e sconforto, se questo portava gloria a Dio. Accusato di essere fuori di sé, Paolo è in buona compagnia. Anche Gesù è stato accusato di essere fuori di testa (Marco 3:21 e Giovanni 10:20).
i. “Probabilmente alcuni lo reputavano uno squilibrato; Festo lo considerava tale: Paolo, sei fuori di te, troppo studio di ha fatto perdere la testa. Inoltre, i suoi nemici a Corinto non solo insinuavano che fosse uno squilibrato, ma attribuivano la sua follia a una causa meno degna dello studio intenso e della conoscenza profonda.” (Clarke)
b. Se siamo fuori di senno, lo siamo per Dio, e se siamo di buon senno, lo siamo per voi: Paolo non vuole che i cristiani di Corinto pensino che stia agendo di proposito in un modo che alcuni potrebbero ritenere folle, solo per il gusto di agire in modo folle. Invece, lo fa per Dio. Poi, se i cristiani di Corinto vogliono pensare che Paolo sia di buon senno, possono pensare che agisca così per loro.
i. “L’apostolo dice loro che, se secondo loro era fuori di senno, lo era per Dio, per il Suo onore e la Sua gloria: se era assennato, lo era per il loro bene; qualsiasi fosse il suo comportamento, o era per servire Dio o loro.” (Poole)
c. Poiché l’amore di Cristo ci costringe: Paolo è motivato, e persino spinto, dall’amore di Cristo verso di lui. Egli fa quello che fa nel ministero perché il grande amore che ha ricevuto da Gesù lo costringe a servire gli altri.
i. Il più grande fondamento del ministero è voler offrire qualcosa agli altri perché Gesù ti ha dato tutto. Quando riceviamo veramente l’amore di Cristo, questo ci tocca e ci porta a voler servire gli altri.
ii. Paolo si sentiva costretto dall’amore di Cristo. Se qualcuno gli avesse chiesto: “Perché fai tutto questo? Perché sopporti il dolore e le prove?”, Paolo avrebbe risposto: “Perché devo. Ho ricevuto l’amore di Cristo. Ho l’amore di Cristo nel cuore, che mi porta ad amare Gesù. L’amore di Cristo che ho nel cuore mi porta anche ad amare tutte le persone che Gesù ama. Sono costretto dall’amore di Cristo!”. “Gli apostoli si affaticavano molto, ma tutta la loro fatica trovava forza nell’amore di Gesù Cristo. Come Giacobbe lavorò duramente per Rachele soltanto per l’amore che provava per lei, così i veri santi servono il Signore Gesù, mossi dal vincolo onnipotente dell’amore.” (Spurgeon)
iii. Dire: “L’amore di Cristo ci costringe” significa affermare la potenza dell’amore di Cristo. Ha una forza che può vincolarci e influenzarci. “L’amore di Cristo aveva concentrato le energie di Paolo in un’unica forza, le aveva convogliate in un unico canale e poi le aveva spinte in avanti con una forza meravigliosa, finché lui e i suoi compagni erano diventati una grande potenza per il bene, sempre attiva ed energica.” (Spurgeon)
d. Se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti: In che senso Gesù è morto per tutti? La Sua morte è in grado di salvare tutti coloro che si accostano a Lui, essendo la dimostrazione dell’amore di Dio verso tutti, ma non vuol dire che tutti sono salvati perché Gesù è morto (come dice la falsa dottrina dell’universalismo).
i. Tuttavia, è probabile che in questo contesto Paolo, con tutti, si riferisca a “tutti coloro che sono salvati”. Non c’è dubbio che Gesù sia morto per tutto il mondo: Egli è l’espiazione per i nostri peccati; e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1 Giovanni 2:2); tuttavia, tutti qui si riferisce probabilmente a “tutti coloro che sono salvati”, dal momento che Paolo scrive anche dunque tutti sono morti. Solamente coloro che si sono uniti a Gesù per fede muoiono e risorgono spiritualmente insieme a Lui (Romani 6:1-6).
e. Affinché quelli che vivono, non vivano più d’ora in avanti per sé stessi, ma per colui che è morto ed è risuscitato per loro: Se Gesù è morto per noi, l’unica risposta appropriata è vivere per lui. Gesù ci ha dato nuova vita, non per vivere per noi stessi ma per Lui. La domanda è semplice: Stai vivendo per te stesso o per Gesù? “Egli è morto per noi affinché noi potessimo morire a noi stessi.” (Calvino)
i. Dio ci ha creati con lo scopo di vivere per Lui, non per noi stessi. Voler vivere per noi stessi e non per il Signore è una storpiatura della nostra natura. In Apocalisse 4:11 leggiamo: Perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà esistono e sono state create. Lo scopo della nostra esistenza è ed è sempre stato quello di vivere per Dio, non per noi stessi. Gesù ha vissuto interamente per Dio Padre.
ii. Che cosa significa non vivere più per sé stessi, ma per Lui? Non significa che ora possiamo dire: “Non amerò né servirò nessuno se non Dio”. Piuttosto, il nostro amore per Dio e la nostra vita vissuta per Dio vengono espressi nel modo in cui serviamo gli altri. Non possiamo usare il nostro vivere per Dio come una scusa per trascurare il servizio verso gli altri.
3. (16) Grazie a questa nuova vita resa possibile da Gesù, i vecchi legami terreni sono molto meno importanti.
Perciò d’ora in avanti noi non conosciamo nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così.
a. Noi non conosciamo nessuno secondo la carne: Perché?
·Perché abbiamo lo sguardo fisso non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono (2 Corinzi 4:18).
·Perché la nostra abitazione terrena sarà distrutta, ma avremo un nuovo corpo, eterno nei cieli (2 Corinzi 5:1).
·Perché camminiamo per fede e non per visione (2 Corinzi 5:7).
·Perché non ci gloriamo nell’apparenza, ma ci gloriamo nel cuore (2 Corinzi 5:12).
i. Per tutte queste ragioni, non guardiamo all’immagine e all’apparenza della carne, ma alla sostanza del cuore.
b. Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così: Anche coloro che hanno conosciuto Gesù nella carne hanno riconosciuto che la loro nuova relazione con Lui attraverso lo Spirito Santo era molto più gratificante.
i. Poiché Paolo scrive abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, si può supporre che abbia conosciuto Gesù durante il Suo ministero terreno e che probabilmente Lo abbia anche sentito predicare a Gerusalemme. Magari si trovava proprio tra quei farisei che spesso Lo affrontavano! Paolo sicuramente ripensava con affetto a Cristo secondo la carne, ma, allo stesso tempo, sapeva che il suo rapporto con Lui mediante lo Spirito Santo era di gran lunga migliore.
ii. “Quando ha conosciuto Cristo secondo la carne, Lo ha considerato come il leader di una nuova setta, il capo di un nuovo partito, una minaccia per la santa religione. Egli dice che non lo vediamo più così. Ora lo conosciamo nello Spirito, per mezzo dello Spirito.” (Morgan)
iii. Dunque, aver conosciuto Gesù nella carne non era affatto una garanzia. “Grandi folle seguirono Cristo in persona, le stesse che più avanti lo disertarono e pretesero la Sua crocifissione.” (Hughes) Anche i discepoli erano dei poveri seguaci, finché Lo conobbero mediante lo Spirito nel giorno di Pentecoste.
c. Ora però non lo conosciamo più così: Alcuni credono che sarebbe meglio se Gesù fosse con noi secondo la carne, ma non è così e Gesù lo sapeva. Per questo Gesù ha detto ai Suoi discepoli: “Tuttavia io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò” (Giovanni 16:7).
4. (17) La vita di resurrezione di Gesù ci dà nuova vita.
Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove.
a. Se dunque uno: Questa è una promessa per chiunque. Chiunque! Non contano la classe, la razza, la nazionalità, la lingua o il livello di intelligenza. Chiunque può diventare una nuova creatura in Gesù Cristo.
b. È in Cristo: Questa è una promessa per coloro che sono in Cristo, non per coloro che confidano in sé stessi, nella religione degli uomini, in qualcuno o in qualcosa. È per chiunque è in Cristo.
c. Egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove: Qui Paolo insegna il grande principio della rigenerazione. Gesù Cristo cambia coloro che si accostano a Lui in fede e sono in Cristo. Chi è salvato non è “solo perdonato”, ma è trasformato in una nuova creatura.
i. È ingiusto da parte nostra aspettarci da coloro che non sono in Cristo che vivano come se fossero una nuova creazione. Non è però sbagliato aspettarsi di trovare una vita trasformata in chi afferma di essere cristiano. “Non conosco nessuna lingua, e non credo esista, che esprima una rigenerazione più radicale o più profonda di quella espressa dalle parole ‘nuova creatura’.” (Spurgeon)
ii. Tuttavia, essere una nuova creatura non significa essere perfetti. Significa che siamo trasformati e che continuiamo a essere trasformati.
d. Egli è una nuova creatura: Chi ci rende una nuova creatura? Soltanto Dio può. Non significa semplicemente “voltare pagina” o “mettere la testa apposto”. La vita di una nuova creatura non è qualcosa che Dio fa per noi, ma in noi. Per questo, ci viene detto di spogliarci… dell’uomo vecchio e rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e santità della verità (Efesini 4:22-24).
i. Diventare una nuova creatura è un dono che riceviamo per fede. “Dio è certamente l’autore della seconda creazione così come lo era della prima.” (Harris) “Un’espressione che sostiene il più grande cambiamento immaginabile, compiuto nell’anima da nessuna forza se non dalla potenza di Dio.” (Poole)
ii. Questa nuova opera di creazione è persino più grande della creazione del mondo. “Fratelli miei, è stato più difficile – se tali termini possono essere applicati all’Onnipotente – è stato più difficile creare un cristiano che creare il mondo. Cosa c’era all’inizio quando Dio creò il mondo? Non c’era niente e nulla poteva ostacolare il volere di Dio – o per lo meno, era passivo. Tuttavia, fratelli miei, sebbene nei nostri cuori non ci fosse nulla che potesse aiutare Dio, c’era molto che poteva invece opporsi, e così è stato. La nostra volontà testarda, i nostri pregiudizi profondi, il nostro amore radicato per l’iniquità; tutte queste cose, grande Dio, ti sono venute contro, cercando di contrastare i Tuoi piani… Sì, grande Dio, creare il mondo è stata un’opera grandiosa, ma molto più grandiosa è stata l’opera di creare una nuova creatura in Gesù Cristo.” (Spurgeon)
iii. Vivere come una nuova creatura è qualcosa che Dio compie in noi attraverso la nostra volontà e le nostre scelte. Per questo, dobbiamo sia ricevere il dono di diventare una nuova creatura che vivere come una nuova creatura. Questa è l’opera di Dio in noi e noi dobbiamo sottometterci. Ciò ci ricorda che, alla radice, il cristianesimo riguarda ciò che Dio ha fatto per noi, non ciò che noi possiamo o dobbiamo fare per Dio. “Amato, se la tua religione non è superiore a quella che ti sei costruito da solo e la tua grazia non è superiore a quella che hai trovato nella tua natura, non ne hai affatto. In noi deve compiersi l’opera soprannaturale dello Spirito Santo, se vogliamo vedere l’approvazione sul volto di Dio.” (Spurgeon)
e. Tutte le cose sono diventate nuove indica l’opera perfetta e nuova di Dio (Apocalisse 21:5). Dio vuole fare una cosa nuova nella nostra vita.
i. “L’uomo non è solo riparato, ma è fatto nuovo… c’è una nuova creazione, che Dio stesso considera come opera sua, e che può guardare e dichiarare molto buona.” (Clarke)
5. (18-19) Il messaggio e il ministero della riconciliazione.
Ora tutte le cose sono da Dio, che ci ha riconciliati a sé per mezzo di Gesù Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione, poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione.
a. Tutte le cose sono da Dio: Paolo si eleva in alto e vuole che i cristiani di Corinto sappiano che sta scrivendo di cose che sono da Dio, non dall’uomo. L’opera della nuova creazione e il nostro destino eterno sono opere di Dio, non qualcosa che dobbiamo guadagnare e ottenere.
b. Dio, che ci ha riconciliati a sé per mezzo di Gesù Cristo: Dio ha istituito il ministero della riconciliazione, pur essendo la parte innocente di questa relazione danneggiata. Egli ci ha riconciliati a sé, non siamo stati noi a riconciliarci a Lui.
i. È importante sottolineare che Dio lo ha fatto per mezzo di Gesù Cristo. Dio non ci ha riconciliati a sé trascurando la Sua santa giustizia o “cedendo” alla natura peccaminosa e ribelle dell’umanità. Lo ha fatto per mezzo di un sacrificio d’amore meraviglioso e giusto. Dio non richiede all’uomo una giustizia e una rettitudine anche di poco minore in Gesù, ma la richiesta è stata soddisfatta per mezzo di Gesù Cristo.
c. E ha dato a noi il ministero della riconciliazione: Avendoci riconciliati a sé per mezzo di Gesù Cristo, ora Dio ci chiedere di svolgere il ministero della riconciliazione e per questo motivo ha posto in noi la parola della riconciliazione.
i. La riconciliazione avviene per mezzo della parola della riconciliazione. Dio usa la predicazione della Parola per riconciliare uomini e donne a sé.
d. Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo: Attraverso tutti gli orrori della croce, Dio Padre ha operato in e con Dio Figlio, riconciliando il mondo con sé. Il Padre ed il Figlio hanno lavorato insieme sulla croce.
i. Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo è ancora più sorprendente se compreso alla luce di ciò che accadde sulla croce. A un certo punto, prima che Gesù morisse, prima che il velo si squarciasse in due, prima che Gesù gridasse “è compiuto”, ebbe luogo un’impressionante transazione spirituale. Il Padre riversò sul Figlio tutta la colpa e l’ira che il nostro peccato meritava e Gesù se ne fece carico in modo perfetto, soddisfacendo totalmente la giustizia di Dio per noi.
ii. Per quanto orribile fosse la sofferenza fisica di Gesù, la sofferenza spirituale – l’essere giudicato al posto nostro a motivo del peccato – è ciò che Gesù veramente temeva della croce. Questo era il calice – il calice della giusta ira di Dio – che temeva di bere (Luca 22:39-46, Salmo 75:8, Isaia 51:17, Geremia 25:15). Sulla croce Gesù divenne, per così dire, un nemico di Dio che fu giudicato e obbligato a bere il calice della furia del Padre, affinché ciò non toccasse a noi.
iii. Tuttavia, allo stesso tempo, Paolo dice chiaramente che Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo. È stata un’opera congiunta. Anche se Gesù è stato trattato come un nemico di Dio, non lo era. Anche se Gesù è stato punito come un peccatore, offrì a Dio Padre il servizio più santo mai offerto. Per questo Isaia può dire: Ma piacque all’Eterno di percuoterlo (Isaia 53:10). Di per sé, la sofferenza del Figlio non piacque al Padre, ma, essendo stato riconciliato il mondo con Dio attraverso di essa, il Padre ne fu totalmente compiaciuto.
iv. Robertson commenta giustamente: “Magari nemmeno ci azzardiamo a sondare troppo in profondità il mistero della sofferenza di Cristo sulla croce, ma questo fatto getta un po’ di luce sul tragico grido di Gesù appena prima di morire: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’”. In quel grido (Matteo 27:46 e Marco 15:34), Gesù ha espresso sia la Sua unione con Dio Padre (Mio Dio) che la sensazione agonizzante di aver ricevuto l’ira di Dio che noi meritavamo.
e. Non imputando agli uomini i loro falli: Perché? Forse perché Dio si è rammollito e ha dato all’umanità una via d’uscita gratuita dall’inferno? Niente affatto. Invece, è perché le nostre trasgressioni sono state imputate a Gesù. La giustizia che il nostro peccato richiedeva è stata soddisfatta, non scusata.
i. Se Dio mette da parte la Sua ira o la Sua giustizia per salvare i peccatori, allora la croce, piuttosto che essere una dimostrazione d’amore, è l’esibizione di una crudeltà e ingiustizia indicibili, e l’inutile tentativo di un uomo a fare del bene. Se il peccato si fosse potuto semplicemente scusare, non ci sarebbe stato bisogno di soddisfare la giustizia di Dio.
6. (20) Ambasciatori per Cristo.
Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; e noi vi esortiamo per amore di Cristo: Siate riconciliati con Dio.
a. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo: Paolo sa che si trova in una terra straniera come rappresentante di un Re. Il Re ha un messaggio e Paolo lo consegna come se Dio esortasse per mezzo suo.
i. Il concetto di essere ambasciatori è molto importante! Un ambasciatore non parla per compiacere il suo pubblico, ma il Re che lo ha mandato. Un ambasciatore non parla con la propria autorità; le sue opinioni o le sue richieste significano poco. Dice semplicemente ciò che è stato incaricato di dire. Ma un ambasciatore è più di un messaggero; è anche un rappresentante e l’onore e la reputazione del suo Paese sono nelle sue mani.
b. Ambasciatori: Per Paolo e gli altri apostoli si tratta di un titolo glorioso. Tuttavia, non è più glorioso o più incredibile del pensiero che Dio, per amore, esorti (implori, NKJV) l’uomo. Perché Dio dovrebbe implorarci?
c. Noi vi esortiamo per amore di Cristo: Siate riconciliati con Dio: Come ambasciatore, Paolo fa un appello semplice, forte e diretto: Siate riconciliati con Dio.
i. Questo chiarisce che l’opera di riconciliazione menzionata in precedenza nel capitolo non opera a prescindere dalla nostra volontà e dalla nostra scelta. Chi sono coloro che sono riconciliati con Dio? Coloro che hanno risposto all’esortazione di Gesù, fatta per mezzo dei Suoi ambasciatori.
ii. Chiarisce altresì che siamo noi a dover essere riconciliati con Dio, e non Dio con noi. Noi siamo nella parte del torto.
iii. Chi sta esortando Paolo? La particella viin noi vi esortiamo è stata aggiunta dai traduttori. È possibile che Paolo intendesse: “Noi esortiamo il mondo intero per amore di Cristo” o “Esortiamo voi, Corinzi, per amore di Cristo”. Ambedue le possibilità sono valide e probabilmente Paolo aveva in mente entrambe.
d. Siate riconciliati: Non siamo chiamati a compiere l’opera di riconciliazione tra l’uomo e Dio. Egli ha già compiuto l’opera; noi dobbiamo solamente accettarla e riceverla. “Non è ‘riconciliatevi’, ma ‘siate riconciliati’. Arrendetevi a colui che vi avvolge con corde di umana gentilezza, che vi attira con legami d’amore, perché Egli è stato dato per voi… Sottomettetevi. Fatevi afferrare da quelle mani che sono state inchiodate sulla croce per voi.” (Spurgeon)
7. (21) Il modo in cui Dio ha reso possibile la riconciliazione.
Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui.
a. Colui che non ha conosciuto peccato: L’idea che un uomo potesse essere senza peccato era sconosciuta alla mentalità ebraica (Ecclesiaste 8:5). Nonostante ciò, nessuno ardì sfidare Gesù quando dichiarò di essere senza peccato (Giovanni 8:46).
b. Egli ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato: Sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, Paolo sceglie con cura le sue parole. Non dice che Gesù diventò un peccatore, ma che diventò peccato per noi. Diventare peccato fu un giusto atto di amore, non un atto di peccato.
i. Gesù non è mai stato un peccatore, nemmeno sulla croce. Lì, il Padre lo ha trattato come tale, sebbene, per tutto il tempo, il peccato non fosse “in” Lui e non facesse parte della Sua natura (come invece lo è per noi).
ii. “Cristo non era colpevole e non poteva essere reso colpevole, ma è stato trattato come tale, perché ha preso volontariamente il posto del trasgressore. Non solo è stato trattato come un peccatore, ma come se fosse stato il peccato stesso, in maniera astratta. È un’affermazione sorprendente. Colui che era senza peccato è stato fatto peccato.” (Spurgeon)
iii. “Non dico che colui che ha preso il nostro posto abbia sopportato l’inferno, perché sarebbe ingiustificabile. Non dico nemmeno che abbia sopportato l’esatta punizione per il peccato, o un suo equivalente, ma ciò che ha patito ha reso alla giustizia di Dio una rivendicazione della Sua legge più chiara e più efficace di quella che avrebbe potuto rendere la dannazione dei peccatori per i quali è morto.” (Spurgeon)
iv. “Ovviamente ci troviamo sulla soglia di un grande mistero e possiamo conoscerne solamente una minima parte.” (Kruse)
c. Egli l’ha fatto: Lo sottolineiamo per bene: questa è l’opera di Dio! Il Padre e il Figlio (insieme allo Spirito Santo) hanno collaborato in modo perfetto all’opera sulla croce. Ciò significa che l’opera di espiazione sulla croce è stata l’opera di Dio. “Se è stato Dio a farlo, è stato fatto bene. Non ho problemi a difendere un atto di Dio: l’uomo che si azzarda ad accusare il Suo creatore badi a cosa sta facendo. Se Dio stesso ha provveduto il sacrificio, state certi che lo ha anche accettato.” (Spurgeon)
d. Affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui: Gesù ha preso il nostro peccato, ma ci ha dato la Sua giustizia. È uno scambio incredibile, spinto dall’amore di Dio per noi!
i. “Non solo il credente riceve da Dio la giustizia sulla base della fede in Gesù (Filippesi 3:9), ma qui Paolo dice che, ‘in Cristo’, il credente condivide – in un certo senso – la stessa giustizia che caratterizza Dio stesso.” (Harris)
ii. Giustizia di Dio: “Che espressione meravigliosa! Egli ci rende giusti per mezzo della giustizia di Gesù; anzi, non solo ci rende giusti, ma giustizia. E non è tutto! Ci rende giustizia diDio, che è superiore alla giustizia di Adamo nel giardino, divinamente più perfetta della perfezione angelica.” (Spurgeon)
iii. “La giustizia che Adamo aveva nel giardino era perfetta, ma era la giustizia dell’uomo: quella che abbiamo noi è la giustizia di Dio.” (Spurgeon)
iv. Ecco la verità della giustificazione spiegata in maniera semplice: I nostri peccati erano su Gesù e la Sua giustizia è ora su di noi. “Come Cristo non è stato fatto peccato da alcun peccato presente in Lui, così nemmeno noi siamo stati resi giusti da alcuna giustizia presente in noi, ma per mezzo della giustizia di Cristo che ci è stata imputata.” (Poole)
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